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27 Giugno 2025Un piatto antico con una fornace in fiamme. Trovato a Scicli e oggi a Catania.
E se vi dicessimo che oggi al Museo civico al Castello Ursino di Catania è custodito uno straordinario reperto proveniente da Scicli?
La sua storia è molto complessa e ancora oggi è un mistero come sia giunto nella città etnea.
Si tratta di un reperto archeologico di estremo interesse per la sua fattura e per la sua decorazione.
Secondo quanto afferma il prof. Pietro Militello, docente di archeologia dell’Università di Catania, il piatto si presume provenga dalla necropoli di contrada Cuturi (Scicli).
Forse faceva parte di un corredo di una tomba.
La suddetta necropoli è costituta da tombe a fossa databili tra il IV e il V secolo d.C.
Da quanto riporta l’archeologa Angela Maria Manenti si tratta di una ciotola in terra sigillata africana, datato tra il 350 il 430 a.C.
Il piatto raffigura tre figure che fuggono da una fornace in fiamme.

Le raffigurazioni proposte sulla ciotola molto probabilmente richiamano l’episodio biblico dei “tre giovani nella fornace“, in fuga dopo essere stati condannati dal re Nabucodonosor per non aver venerato il loro idolo:
«Allora Nabucodònosor, sdegnato, comandò che gli si conducessero Sadràch, Mesàch e
Abdènego, e questi comparvero alla presenza del re. Nabucodònosor disse loro: “È vero, Sadràch,
Mesàch e Abdènego, che voi non servite i miei dèi e non adorate la statua d’oro che io ho fatto
innalzare? Ora, se voi sarete pronti, quando udirete il suono del corno, del flauto, della cetra,
dell’arpicordo, del salterio, della zampogna e d’ogni specie di strumenti musicali, a prostrarvi e
adorare la statua che io ho fatta, bene; altrimenti in quel medesimo istante sarete gettati in mezzo
ad una fornace dal fuoco ardente. Quale Dio vi potrà liberare dalla mia mano?” »
(Daniele 3, 13-15)
« Allora Nabucodonosor, acceso d’ira e con aspetto minaccioso contro Sadràch, Mesàch e
Abdènego, ordinò che si aumentasse il fuoco della fornace sette volte più del solito. Poi, ad alcuni
uomini fra i più forti del suo esercito, comandò di legare Sadràch, Mesàch e Abdènego e gettarli
nella fornace con il fuoco acceso. Furono infatti legati, vestiti come erano, con i mantelli, calzari,
turbanti e tutti i loro abiti e gettati in mezzo alla fornace con il fuoco acceso. »
(Daniele 3, 19-21)
« Ma quegli uomini, che dietro il severo comando del re avevano acceso al massimo la fornace per
gettarvi Sadràch, Mesàch e Abdènego, rimasero uccisi dalle fiamme, nel momento stesso che i tre
giovani Sadràch, Mesàch e Abdènego cadevano legati nella fornace con il fuoco acceso. »
(Daniele 3, 22-23).
Il piatto di Scicli arriva a Catania
Chi ha portato il piatto da Scicli alla città etnea? Qui il mistero si infittisce.

A quanto sembra il trasferimento è avvenuto in tempi non recenti.
Il ‘700 è stato un secolo dominato dalla riscoperta dell’antico e molti antiquari cercarono di arricchire le loro collezioni con importanti reperti.
La storia della nostra opera inizia da qui, in questo clima di rinascita della passione per l’antico.
Una fonte importante è l’arciprete di Scicli, Antonino Carioti (1683-1780), che riporta la seguente notizia:
« Sono celebri i sepolcri che si scoprirono nella vigna di questo barone D. Giovanni La Rocca,
distante da Scicli poco più di due miglia: da’ quali si estrassero non pochi scheletri, vasi
lacrimatori, urceoli, pentole e lumiere di creta rossa. […].
Vi si rinvenne altresì un rotondo piattino di creta rossa di elegante lavoro, nella di cui superficie eravi effigiata una torre boschereccia, dalla quale ne uscivano infocate fiamme, in mezzo alle quali vedevasi la figura di un uomo dalla porta di essa torre, onde salvarsi da quell’incendio.
Questo elegante piattino, che forse era una patera, fu acquistato dal cassinese P. D. Roberto La Rocca, che ne fece un dono al Museo de’ PP. Benedettini di Catania. »
Il piattino di creta rossa nella quale è raffigurata una torre con le fiamme (la fornace) è verosimilmente il “nostro” e secondo quanto riporta la nostra fonte il reperto è stato acquistato da
Padre Roberto La Rocca che lo donò al museo dei Benedettini di Catania.
A mettere in discussione però la presenza del piatto presso la collezione benedettina è una lettera di
Michele Rizzari a Salvatore Di Blasi del 20 luglio 1746:
« In esecuzione de’ suoi comandi trascriverò qui sotto da dove abbiam capitato i vasi discertati. Del Museo Biscari. Lo grande con figura di sacerdote di Bacco trovato in Terranova.
[Vaso] con una testa trovato a Biscari. Lo piatto colla fornace e tre figure in Catania. »
Secondo quest’ultima fonte il piatto era presente presso la collezione del principe di Biscari nel
1746, lo stesso principe di cui proprietà è il più importante palazzo privato di Catania oggi: palazzo Biscari.

La famiglia Biscari a Scicli
Sempre il Carioti ci riporta notizie su alcune visite della famiglia Biscari a Scicli:
« L’ultime (suore del monastero di Santa Teresa a Scicli) ai miei tempi furono Donna…. e Donna…
Indi nel monistero chiamate l’una Suor Teresa di…. l’altra Suor Teresa di Santa Rosalia, figlie
entrambe di Don Cesare Palermo e Donna Anna Peralta, e degne nipoti di Fra’ Don Diego
Palermo, Gran Croce della Sacra Religione Gerosolimitana e baglivo di Venosa, la prima
destinata per sposa all’eccellentissimo…principe del Biscari, con tutto che capitato in Scicli per
sollennizzare le nozze, rifiutò l’una per amore di Cristo lo sposo, e fattisi i congiunti efficaci al
consenso di essa, scesa dalla sua cella con a’ mani il Crocifisso, gli disse animosa essere questi lo sposo a cui loro stessi la destinarono, e però come primo non doverlo con altro terreno unqua cambiarlo.
E se questo gli offrivano titolato, anco l’altro eletto da ella comere su la Croce, lo aveva
stato per amor suo. L’inaspettata risoluzione della figlia la funestò non puoco l’allegrezza di un sì nobile sponsalizio, che concepito avevano i parenti.
Si lusingarono poi, provata costante la prima nel suo santo proposito, che la seconda figlia avesse compensato col suo consenso il riprovato matrimonio della sorella.
Ma l’altra, non voluto accettare il partito rifiutato da quella, entrambe con santa invidia ed altrettanta costanza volendo serrare la porta ad ogni altro vantaggioso progetto che se l’avrebbe offerto nell’avvenire, tosto apprettarono la sollenne professione.
Avveduto doppo qualche tempo il loro genitore del metallo dello spirito delle bene avventurate figliole, obliando qualunque vantaggio avrebbe acquistato con quel vantaggioso matrimonio il suo casato, e dato uno sguardo all’eroica virtù d’ambe le figlie, che sì bene risolvettero a’ fatti suoi, ripigliato di bel nuovo il raffreddato affetto con assai più fervore di prima per quel tempo che sopravisse, ogni giorno non seppe scordare di rivedere le care figlie.
Anzi furono causa di promuovere col patrocinio del loro genitore tutti gli avanzi del monistero in pro di cui egli con larga mano, ove occorreva il bisogno, colle replicate limosine vi provedeva.»
(Notizie storiche della città di Scicli, vol. 2, pp. 463-465).
Manca l’ultimo passaggio…
…e come è giunto al museo civico di Catania?
Non possiamo escludere, date le fonti riportate, che il reperto sia pervenuto in un primo momento
presso la collezione dei Benedettini e poi successivamente per varie dinamiche nel museo del principe di Biscari, collezioni che confluirono entrambe nel museo civico di Catania, oggi a Castel
Ursino.
Il nostro piatto continua quindi a raccontarci, silenzioso, tra intrighi e acquisti, la storia di una
grande ricchezza archeologica della nostra città, oggi visibile in vari musei della Sicilia e non.
credit immagini:
La foto del piatto è del volume “Scicli, Archeologia e territorio 2008”, Pietro Militello;
le foto della statua del principe di Biscari e quella che ritrae Castel Ursino sono di Paola Dantoni.

Paola Dantoni è laureata in Archeologia presso l’Università degli Studi di Catania e diplomata alla scuola di Specializzazione in Beni Archeologici indirizzo Preistorico con sede a Siracusa.
Nel 2018 ha partecipato alla prima sezione di scavi al Castello dei Tre Cantoni sito sul Colle San Matteo a Scicli (RG). Nell’estate 2021 ha partecipato alla campagna di scavi a Pompei. Dal 2019 fa parte del team di “Agire”, cooperativa che gestisce e valorizza turisticamente i Siti Culturali del Comune di Scicli.